La pressione arteriosa

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Cuore, arterie e vene costituiscono nel loro insieme il sistema circolatorio che può essere paragonato ad un circuito idraulico nel quale il movimento del sangue viene generato da una pompa che è il cuore. Ad ogni contrazione il cuore spinge un certo volume di sangue in tutte le parti del corpo attraverso le arterie che, con diametro sempre più piccolo, terminano nella fitta rete dei capillari. Qui il sangue cede l’ossigeno e i nutrienti alle cellule di tutti i tessuti e raccoglie l’anidride carbonica che ritorna al cuore attraverso le vene, per essere poi trasportata ai polmoni e scambiata con l’ossigeno.

La pressione sanguigna (P.A. in italiano, BP in inglese – blood pressure) è la forza con cui il cuore pompa il sangue per farlo scorrere lungo i vasi sanguigni. La “pressione” misurata dal medico è quella che il sangue esercita contro le pareti arteriose. La pressione massima compare nel momento in cui il sangue viene emesso dal ventricolo sinistro del cuore, al circolo ed è detta pressione sistolica. La pressione minima coincide con il periodo di massima dilatazione del cuore, quando il sangue ritorna dal circolo ematico  ed è definita pressione diastolica.

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La misurazione della pressione si registra a livello periferico, usualmente al braccio  e  viene  indicata da due numeri. In età adulta si considera ideale una pressione di 115-120 mmHg per la massima (o sistolica) e 75-80 mmHg per la minima (o diastolica). Quando i valori di sistolica e/o di diastolica superano i 140 (per la massima) o i 90 (per la minima), si parla di ipertensione. In genere l’ipertensione è asintomatica per parecchi anni, ma danneggia progressivamente  gli organi bersaglio ossia : cuore, reni cervello, per cui deve essere curata o monitorata abitualmente , perché se la terapia inizia tardivamente i benefici saranno limitati, in quanto le alterazioni prodotte a questi organi sono reversibili solo in minima parte.

La prevalenza dell’ipertensione arteriosa nella popolazione generale è stimata tra il 30% e il 40% .Nella popolazione in dialisi, la prevalenza dell’ipertensione arteriosa  varia  da circa il  15% a oltre l’80%. Infatti, nel paziente in emodialisi la PA tende ad aumentare nel periodo interdialitico e a ridursi durante la sessione di dialisi. La valutazione della PA nel paziente in dialisi può avvalersi delle misure che vengono sistematicamente rilevate prima, durante e dopo la dialisi o delle misurazioni domiciliari.

 

Può capitare  a volte che quando a misurare la pressione arteriosa è un operatore sanitario ( medico o infermiere) i valori rilevati sono mediamente più alti, fenomeno definito “ipertensione da camice bianco”. L’ansia per il responso si traduce in stimoli nervosi che partendo dal cervello inducono la produzione di ormoni  adrenalina e noradrenalina che immessi in circolo hanno l’effetto di aumentare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. Tali valori rientrano nella norma in genere dopo 10 minuti.  Da qui nasce anche la necessità di un monitoraggio  domiciliare e frequente della pressione arteriosa che pur essendo elevata nei controlli ambulatoriali, non sempre è indice di ipertensione, ma a  volte di una  reazione emotiva del paziente.

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Nel valutare i parametri  prima di  iniziare la  seduta dialitica , o nell’ambulatorio di Predialisi e nefrologico l’infermiere lascia  sempre il paziente a riposo  supino alcuni  minuti per permettere, alla pressione e alla frequenza cardiaca  di stabilizzarsi prima della sua rilevazione e registrazione (rilevamento in clinostatismo).

Può considerarsi anche il rilievo della pressione arteriosa facendo sedere il paziente (rilevamento in ortostatismo): si può così rilevare sia ipotensione ortostatica (il circolo non si adatta con la vasocostrizione passando dalla posizione supina a seduta sia confermare l’ipertensione arteriosa in caso di rialzo della p.A. diastolica).

E’ possibile  e necessario misurare la pressione a casa! Questo può essere fatto in maniera autonoma, con l’utilizzo di un apparecchio   formato da 2 parti :

  • Sfigmomanometro che consiste in un bracciale in tela,all’interno è presente una camera d’aria in gomma. Quest’ultimo è dotato di una piccola pompa ad aria con una valvola a vite che serve per gonfiare e sgonfiare la camera d’aria, e una parte dove sono indicati i valori pressori (espressi con l’unita di misura della pressione arteriosa che è il millimetro di mercurio mm/hg) che è il manometro.
  • Fonendoscopio che è lo strumento che permette di sentire i suoni che si producono nell’arteria mentre viene effettuata la misurazione. Consta di una capsula metallica chiusa da una membrana vibratile (che si applica sui punto in cui si percepisce l’arteria) e di due piccoli tubi flessibili che trasmettono le onde sonore, raccolte dalla capsula.

Esistono in commercio diverse tipologie di apparecchi  che possono  essere automatici o manuali.

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Le apparecchiature utilizzate per la misurazione contenenti mercurio sono oggi vietate dalla Legge per evitare casuali ingestioni e/o contatti con il mercurio particolarmente tossico e mortale se ingerito.

Tutte le apparecchiature devono essere sottoposte a ritaratura almeno una volta/anno.

 

 

  • Consigli utili per una misurazione a corretta

 

  1. Evitare fattori che possono innalzare la pressione arteriosa che possono causare picchi ipertensivi temporanei. Alcuni di questi fattori sono : stress, fumo attività fisica clima freddo, caffeina. Inoltre la pressione sanguigna cambia nell’arco della giornata ed è naturale che essa non sia mai la stessa anche nel giro di pochi secondi: le continue variazioni sono influenzate da numerosissimi fattori. Occorre, per effettuare un diario pressorio corretto rilevare la P.A. di mattina, pomeriggio inoltrato ed anche se ci si sveglia durante la notte).
  2. Controllare che il manicotto sia della giusta misura. Con un braccio particolarmente sottile o nei pazienti obesi è necessario l’uso del bracciale della misura corretta.    Cattura di schermata (140)
  3. Misurarla in un ambiente silenzioso e tranquillo per essere certi di poter sentire con il fonendoscopio il battito cardiaco. Ovviamente durante la misurazione la persona alla quale si misura la pressione deve stare ferma ed in silenzio durante la procedura.
  4. Togliere gli abiti con le maniche aderenti e lasciare il braccio esposto di solito quello sinistro. Posizionare il bracciale ben aderente al braccio, a metà tra spalla e gomito, ben aderente, con l’indicatore (di solito una freccia bianca stampata sul bracciale ove si sente battere l’arteria omerale (parte interna del braccio poco sopra la piega del gomito).
  5. Prima della misurazione riposarsi almeno 5 minuti per stabilizzare il battito cardiaco e la pressione .
  6. Trovare una posizione confortevole per la misurazione . Sdraiarsi  o sedersi su una sedia (nel caso si voglia rilevarla in ortostatismo) con il braccio appoggiato su un tavolo, il braccio deve stare sempre all’altezza del cuore, il palmo della mano rivolto verso l’alto. Rilevare la pressione possibilmente sempre nella stessa posizione .

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7. Almeno 2 volte all’anno è necessario fa verificare il grado di precisione dello strumento, perché in genere perdono con il tempo precisione.

  • Come misurare la pressione arteriosa?  

Far accomodare il paziente su una sedia con il braccio appoggiato su un piano (altezza braccio -cuore paziente), cercare la pulsazione dell’arteria omerale del paziente. Posizionare il bracciale dello sfigmomanometro e la campana del fonendoscopio sotto il bracciale  nel punto dove si e rilevata la pulsazione arteriosa. Mettere  gli auricolari dello fonendoscopio nelle orecchie. Contemporaneamente si palpa il polso dal lato del pollice, per percepire la pulsazione dell’arteria radiale

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Premere rapidamente la pompa a bulbo per gonfiare il manicotto finche non si è più in grado di percepire il suono del battito cardiaco con il fonendoscopio all’incirca finche il manometro non riporta una pressione di circa 160/180 mm/hg . Aprire lentamente la valvola di sfiato ruotando adesso la vite in senso antiorario. L’aria deve uscire lentamente. Rilevare il valore riportato dal manometro nel momento esatto in qui   si  è in grado di sentire di nuovo il battito cardiaco. Questa si chiama pressione massima sistolica, e si genera ogni volta che il cuore si contrae.

Riducendo ulteriormente  la pressione, continuando a girare lentamente in senso antiorario la valvola di sfiato i rumore diventerà  inizialmente più forte fino ad indebolirsi e  ha scomparire del tutto. Bisogna restare in ascolta finche non si sente più alcun suono del battito cardiaco annotare il valore perché si rileva cosi la pressione minima o diastolica che indica la pressione del sangue tra un battito cardiaco e un altro. Sgonfiare del tutto il manicotto  e attendere diversi minuti per ripetere la procedura, come misura di controllo per confermare il valore.

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  • PERCHE’ MISURARE LA PRESSIONE ARTERIOSA AL PROPRIO DOMICILIO ?

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È necessario  controllare  periodicamente la pressione arteriosa,durante l’intervallo  tra una dialisi e l’altra. È utile annotare ora e valori e comunicarli al nefrologo e all’infermiere  prima dell’inizio della seduta dialitica, soprattutto se si sono manifestati picchi ipertensivi, o forti  ipotensioni con perdita di coscienza e forte malessere. Ci sono casi in qui ovviamente è necessario recarsi dal medico di base o al pronto soccorso, e non aspettare il medico del turno  dialisi successiva.

L’auto misurazione della pressione comporta diversi vantaggi per tutte le persone e in particolare per quelle  con insufficienza renale cronica o in dialisi:
–  Si può misurare  frequentemente, in orari diversi;
–  Si  provare in momenti tranquilli, senza lo stress legato allo spostamento, all’attesa   nell’ambulatorio  del  medico e dell’infermiere  o in farmacia;
–  si può misurare  quando si avvertono dei malesseri che potrebbero essere legati ad alterazione della pressione stessa (capogiri, palpitazioni, mal di testa, affanno, stanchezza) , molto frequenti purtroppo nei soggetti in dialisi.

I pazienti sottoposti a dialisi sono soggetti ad un più alto rischio di malattia cardiocircolatoria; al riguardo vanno ricordati come fattori favorenti lo sviluppo di tali malattie, l’ipertensione arteriosa grave esistente spesso da lungo tempo.

Essa e, d’altra parte, un sintomo importante di quasi tutte le nefropatie che esitano nel ‘insufficienza renale. L’aumento del lavoro del ventricolo sinistra, dovuto all’aumento della pressione arteriosa, dapprima determina ipertrofia, successivamente una dilatazione del ventricolo stesso.

L’ipertensione arteriosa, inoltre, favorisce e accelera l’aterosclerosi dei vasi renali. Nella maggior parte dei pazienti dializzati l’ipertensione si può normalizzare o ridurre con la dialisi attraverso la correzione delle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico.  Ciò si ottiene sottraendo mediante la dialisi l’acqua e il sodio in eccesso e, contemporaneamente, limitando l’apporto dietetico di acqua e sale. E’ di grande importanza convincere il paziente ad assumere regolarmente i farmaci che gli vengono prescritti.

L’ipotensione durante e dopo la dialisi deve essere evitata. Nell’uremico non dializzato solo raramente si osservano valori di pressione arteriosa inferiori alla  norma.

https://buonaaccoglienzaindialisi.com/complicanze-in-emodialisi/

 

Per maggiori informazioni :linee-guida-sulla-misurazione-convenzionale-e-auto-243

Effettuare con sicurezza ed autonomia le iniezione di farmaci per via sottocutanea

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La dialisi è un trattamento sostitutivo di alcune delle funzioni svolte dai reni,ma non sostituisce, la produzione ormonale dell’ eritropoietina (EPO). L’eritropoietina (Epo) stimola la produzione di globuli rossi a livello del midollo osseo e regola la concentrazione di emoglobina: cioè del trasportatore di ossigeno ai tessuti. Grazie ai progressi dell’ingegneria  genetica è stato possibile nel corso degli anni la purificazione , clonazione e sequenziazione dell’ormone ed infine alla sua produzione su scala industriale.  Quindi la terapia con Epo nel corso dell’insufficienza renale cronica  diventa un evento  routinario. Abbiamo ha disposizioni  diverse eritropoietine: alfa, beta, darbepoietina, biosimilari, CERA . A seconda della durata di azione il vostro  nefrologo stabilirà la frequenza delle somministrazioni : 1/2/3 volte settimana, ogni 15 giorni o 1 volta al mese. Tutte le formulazioni in commercio sono sicure eccetto al momento alcune Epo bio similari.

Le  Indicazioni terapeutiche alla somministrazione di eritropoietina  sono dunque:

  • Trattamento dell’anemia associata ad insufficienza renale cronica in pazienti adulti e pediatrici in emodialisi e in pazienti adulti in dialisi peritoneale. L’eritropoietina nelle persone che effettuano l’emodialisi non viene somministrata preferibilmente per via sottocutanea, ma bensì direttamente nel circuito extracorporeo al termine della seduta dialitica.
  • Trattamento dell’anemia grave di origine renale con sintomatologia clinica in pazienti adulti con insufficienza renale non ancora sottoposti a dialisi .

La via sottocutanea è obbligatoriamente da utilizzare in quei pazienti che hanno necessità di curare l’anemia renale ed è sconsigliabile utilizzarle questi prodotti endovena per risparmiare il patrimonio vascolare:

  1. i pazienti ambulatoriali specie se in fase pre-dialitica;
  2. i pazienti in dialisi peritoneale

 

Le eparine a basso peso molecolare (tipo, nadroparina ecc ) sono ampiamente prescritte nella prevenzione e nel trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare, nella malattia coronarica.

In emodialisi la somministrazione  delle eparine a basso peso molecolare  avviene durante la dialisi direttamente nel circuito extracorporeo . In alcune particolari situazioni cliniche può essere  necessario continuare la terapia anche nei giorni di non dialisi al proprio domicilio per prevenire la  trombosi degli accessi vascolari, sia delle fistole artero-venose sia dei Cateteri Venosi Centrali e nei pazienti che presentano elevato  rischio di patologie tromboemboliche . E’ importante proseguire la terapia anche a casa finché  il medico lo riterrà opportuno e possibilmente  mantenendo sempre gli stessi orari.

Queste terapie non sono efficaci se somministrate per via oro- gastrointestinale (quali l’eparina, l’insulina, l’eritropoietina). La somministrazione sottocutanea di Eparine a basso peso molecolare e di eritropoietine è una procedura infermieristica molto frequente.

È spesso necessaria la somministrazione  anche a casa, dove l’infermiere può non essere presente, ma sicuramente può educare il malato o un familiare ad effettuare   in maniera corretta un iniezione sottocutanea. E’ bene rispettare alcune semplici regole tecniche per ridurre l’incidenza di ecchimosi, ematomi e di dolore. E’ soprattutto non bisogna  avere paura! D’altronde come farebbero milioni di pazienti diabetici che si autosomministrano per via sottocutanea l’insulina a casa?

DOVE??

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Il primo passo è scegliere e valutare la sede di iniezione,verificando:

  1. l’idoneità  cioè l’assenza di masse  ferite e cicatrici , eritemi,
  2. la  dolorabilità ,
  3. la pulizia.

La sede generalmente preferibile è l’addome più precisamente la fascia antero-laterale. È necessario che la sede di iniezione disti almeno 2-3 cm dall’ombelico ed evitare di spostarsi troppo lateralmente  dove il tessuto sottocutaneo tende a ridursi.

Alternative sedi di puntura  sono :

  • Cosce : considerare solo la parte anteriore e laterale
  • Braccia: considerare solo la parte superiore esterna dove il sottocute è sufficientemente spesso per evitare di urtare il muscolo
  • Glutei : considerare il quadrante superiore esterno, evitando di toccare il nervo sciatico.

Come per tutte le iniezioni anche nel caso  di quelle sottocutanea è obbligatorio variare sempre almeno di 3 centimetri la sede  di puntura .

 

Cosa Serve??   images      

 

Un piano di appoggio comodo e pulito, dove sistemare il materiale necessario per l’iniezione :

  • La siringa preriempita (già pronta),
  • 2 batuffoli di cotone,
  • Un disinfettante efficace,
  • Un contenitore per lo smaltimento sicuro della siringa.

 

Cattura di schermata (118)Come procedere??               

  • Lavarsi accuratamente le mani, con sapone e acqua calda.

Vedi anche sito :https://buonaaccoglienzaindialisi.com/category/il-lavaggio-delle-    mani/

  • Dopo aver scelto il punto, eseguire una accurata disinfezione della sede di iniezione, con uno dei batuffoli di cotone imbevuti di disinfettante. Attendere che la cute  si asciughi, non soffiare ne sventolare sull’area disinfettata. Non toccare più l’area scelta  per l’iniezione prima di praticarla.
  • Prendere la siringa con la mano dominante (impugnandola come una penna) e con l’altra mano creare una plica cutanea che sarà mantenuta per tutta la durata dell’iniezione. Questa tecnica è indispensabile ad evitare l’iniezione del farmaco nel muscolo.

Ecco alcune istruzioni: Pizzicare una parte di pelle tra l’indice, il pollice e il medio  facendo attenzione a sollevare solo la pelle e non il muscolo sottostante. Si riesce  a sentire la differenza tattile fra i due tipi di tessuto organico: il grasso è più morbido mentre il muscolo è più sodo. I farmaci sottocutanei non devono essere iniettati nei muscoli perché si potrebbe avere un sanguina mento.

  • mantenere la bolla d’aria se presente nella siringa. Essendo il dosaggio  di questi farmaci molto preciso (espreso in U.I) e di volume ridotto, la bolla d’aria fa si  che venga iniettato per intero il dosaggio desiderato non lasciando residui nell’ago.
  • inserire l’ago nella cute mantenendo un angolo possibilmente di 90° ed effettuare una manovra meno traumatica possibile. L’angolatura di 90° si effettua perché l’ago  è di dimensioni più corte e quindi non raggiungerebbe con esattezza il tessuto sottocutaneo. L ’angolo è diverso a seconda della quantità di tessuto sottocutaneo a disposizione . Tuttavia, con i soggetti particolarmente magri o con poco grasso sottocutaneo, potrebbe essere necessario inclinare l’ago a 45° per evitare il tessuto muscolare. Sarà il vostro infermiere e/o il medico a consigliare l’angolo corretto.

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  • Mantenere la plica durante l’iniezione .
  • Non  effettuare la manovra di Lesser di aspirazione perché essendo il tessuto sottocutaneo scarsamente vascolarizzato non è necessaria , è una manovra traumatica  che aumenta il rischio di ematomi.
  • iniettare il farmaco lentamente (almeno 30 secondi); per ridurre ematomi e dolore.
  • rimuovere la siringa e applicare una lieve pressione sulla sede dell’iniezione, una volta completata. Non strofinare e non massaggiare la zona per ridurre la comparsa di ematomi.
  • Gettate subito la siringa in un contenitore rigido a prova di puntura.

Questi contenitori si vendono nelle normali farmacie, e possono essere forniti eventualmente da vostro centro dialisi, per poi essere riconsegnati per lo smaltimento corretto del contenitore in appositi cartoni speciali.

https://buonaaccoglienzaindialisi.com/terapia-in-emodialisi/

 

Iperparatiroidismo secondario

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Conseguenza dell’iperfosfatemia è l’Iperparatiroidismo : le problematiche cliniche sono dovute all’aumento del riassorbimento osseo ed ad una disorganizzazione architettonica della struttura ossea che ne indebolisce flessibilità e resistenza; può conseguirne nel bambino rachitismo e nell’adulto , osteodistrofia renale.

Nell’ambito dell’osteodistrofia renale si possono osservare  fratture patologiche, possono essere presenti inoltre dolori ossei, debolezza muscolare, prurito, calcificazioni vascolari e periarticolarI. L’insufficienza renale cronica, e la carenza di vitamina D causano l’aumento del paratormone con il manifestarsi dell’iperparatiroidismo secondario. Le funzioni della vitamina D attiva consistono nel favorire l’assorbimento del calcio nell’intestino tenue e la sua mobilizzazione dall’osso. La carenza di vitamina D, tipica in nei pazienti in emodialisi riduce l’assorbimento del calcio dal lume intestinale e ne consegue ipocalcemia e aumento della secrezione di PTH. Ma la vitamina D non è  considerata più una vitamina ma un vero è proprio ormone, perché regola numerosissime altre funzioni: si ricorda per esempio assicurare il buon funzionamento del sistema di difesa immunologica a tutte le infezioni.

Gli obbiettivi terapeutici della correzione dell’iperparatiroidismo secondario sono distinti in :

  • Obbiettivi a breve termine, dove il mantenimento di valori ottimali di (PTH) ,calcio e fosforo hanno lo scopo di prevenire una crescita anarchica delle ghiandole paratiroidee e le alterazioni della funzione scheletrica.

  • Obbiettivi a lungo termine con lo scopo di ridurre la mortalità e morbilità cardiovascolare .

Gli strumenti terapeutici per il controllo del paratormone si avvalgono di 3 categorie di farmaci:

  1. Chelanti dei fosfati

  2. Attivatori dei recettori della vitamina D

  3. farmaci che simulano l’azione del calcio sulle paratiroidi per frenare la produzione di paratormone da parte di esse: sono chiamati “Calcio mimetici”

Maggiori dettagli sulla terapia farmacologica :  https://buonaaccoglienzaindialisi.com/terapia-in-emodialisi/

Un altra opportunità terapuetica, per fortuna abbastanza rara è la paratirectomia cioè l’intervento chirugico di asportazione delle paratiroidi, che viene eseguito nei casi refrettari alla terapia farmacologica specie quando non si riesce a controllare il livelli siericI di calcio e fosforo. In tal caso, è obbligatorio rimuovere la ghiandola paratiroide responsabile dell’eccessiva produzione di paratormone.

In definitiva oggi possiamo controllare meglio con i farmaci l’iperparatiroidismo secondario e la patologia ossea ma si riesce con difficoltà a curare le calcificazioni vascolari che causano inesorabilmente, specie quando i livelli di fosforo sono costantemente alti, gravi e mortali conseguenze cardiovascolari.

Il messaggio che i pazienti devono sapere e che tutti gli operatori sanitari in dialisi devono comunicare, anche ossessivamente ai pazienti, che il fosforo alto e la cattiva collaborazione dietetica portano INESORABILMENTE in breve tempo e SENZA SCAMPO ad un evento gravissimo o alla morte.

Oggi infatti questa patologia è una sindrome sistemica meglio nota con la sigla inglese CKD-MBD ovvero malattia del metabolismo minerale nei pazienti con insufficienza renale cronica.

La regolazione del metabolismo del calcio e del fosforo

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La riduzione della funzione renale è notoriamente associata a un alterato metabolismo osseo, con maggior rischio di fratture e osteoporosi.

In un soggetto sano il corretto metabolismo scheletrico è in parte mantenuto da un congruo equilibrio tra: Vitamina D e Paratormone (PTH); questo ormone è prodotto dalle ghiandole paratiroidee e deve essere considerato come una vera e propria tossina; il calcio nel sangue ne frena la produzione, il fosforo alto nel sangue ne aumenta la produzione ghiandolare. La vitamina D è nota anche come “Vitamina del Sole” perché è grazie al sole che il nostro corpo, attraverso la pelle, è in grado di sintetizzarla e produrla. L’azione del paratormone si esercita controllando direttamente il metabolismo cellulare del tessuto osseo inducendone un’adeguata e continua rigenerazione (turn over). Vitamina D e PTH orchestrano, quindi, i processi di sintesi e distruzione del tessuto scheletrico, mantenendolo così vivo e resistente. Per fare questo, oltre a regolare l’attività delle cellule scheletriche (osteoblasti e osteoclasti), la Vitamina D e il PTH controllano anche l’assorbimento e l’eliminazione organica dei due mattoni fondamentali per la deposizione della matrice ossea: il calcio e il fosforo. Tra le funzioni del rene, rientra l’attivazione della vitamina D (colecalciferolo) introdotta con la dieta. Nella malattia renale cronica il disordine è dovuto all’incapacità del rene di convertire la vitamina D nella sua forma attiva, il 1,25-diidrossicolecalciferolo meglio noto come calcitriolo.

Nell’insufficienza renale cronica, l’ attivazione della vitamina D quindi si riduce ——–> IPOCALCEMIA. Contemporaneamente, dato che il rene non funziona bene, l’ escrezione di fosfato si riduce, con conseguente aumento dei livelli plasmatici di quest’ ultimo. 
Quindi avremo IPOCALCEMIA e IPERFOSFATEMIA ———–> viene stimolata la produzione di paratormone dalle paratiroidi, come tentativo di compenso
.

Si instaura così un iperparatiroidismo secondario, che evita l’ ipocalcemia fino a quando la funzione renale non scende sotto il 30-40% (quarto stadio dell’insufficienza renale cronica). A questo punto cominciano a manifestarsi ipocalcemia e iperfosforemia.  L’insorgenza così frequente dell’iperfosfatemia nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica avanzata e in dialisi è associata a gravi complicanze tra cui l’iperparatiroidismo secondario, a sua volta responsabile della malattia ossea e delle calcificazioni nei tessuti molli ma purtroppo anche di quelle più gravi come quelle sui vasi, causa di serie complicanze per i pazienti.

Questo eccesso di calcio e fosforo nel sangue determina un accumulo delle due sostanze con conseguente formazione di piccoli depositi di minerali in vari organi e tessuti che potrebbero causare l’insorgenza:

  • calcificazioni a livello muscolare e/o articolare– dolori articolari/ossei, sugli occhi (sindrome dell’”occhio rosso”)

  • gravi problemi ai vasi sanguigni, ostruzione progressiva dei vasi arteriosi e possibilità di problemi coronarici sino all’infarto, ictus, ostruzioni precoci dei vasi arteriosi degli arti inferiori, calcificazioni delle valvole cardiache che causano il loro restringimento o insufficienza, compromissione dell’efficienza e la durata della fistola;

  • astenia, prurito,

Il fosforo è riconosciuto in tutto il mondo nefrologico come il più difficile da controllare definendolo come il “killer silenzioso”.

Quindi è estremamente importante adottare tutte le misure per i controllo del fosforo già dalle prime fasi dell’insufficienza renale cronica con livelli inferiori a 3,5 mg/dL e nei pazienti in dialisi < 4,5 mg/dL. Purtroppo il fosforo è molto difficile eliminarlo anche con le dialisi più sofisticate. Quindi la collaborazione del paziente è “la madre di tutte le battaglie”. Ciò si ottiene con il rispetto della dieta prescritta dallo specialista nefrologo e contemporaneamente l’assunzione di prodotti che legano il fosforo ed impediscono il suo assorbimento nel sangue aumentando così la sua eliminazione con le feci. Questi prodotti sono chiamati “chelanti i fosfati”.

L’emodialisi convenzionale della durata di circa 4 ore consente una rimozione variabile di fosforo, (dipendente dalla fosforemia media), aumentando il tempo dialisi a circa 7/8 ore si ottiene un miglioramento della fosforemia predialitica, ma questo è spesso di difficile attuazione a causa anche di una forte resistenza de pazienti, che difficilmente sono propensi ad accettare l’allungamento delle ore della seduta dialitica.

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La dialisi quotidiana diurna o notturna (aumentando notevolmente il tempo di dialisi) garantisce una sufficiente rimozione di fosforo e un controllo adeguato della fosforemia. La dialisi quotidiana è tipicamente domiciliare . Pochi centri dialisi in Italia la propongono poiché le esigenze organizzative dei Centri a volte non lo permettono;

Oggi la metodica più efficiente per la rimozione di fosforo (può superare i 5 grammi/settimana) è la dialisi peritoneale.

https://buonaaccoglienzaindialisi.com/controllo-dietetico-del-potassio-e-del-fosforo

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Oggi è un giorno straordinario.
Abbiamo raggiunto 1000 ingressi al sito!!!! Una traguardo inimmaginabile in così poco tempo ; con piccoli sacrifici si possono fare grandi opere.
La dialisi è quotidianità, il vedersi quasi tutti i giorni per mesi e sempre più spesso per anni crea un rapporto infermiere paziente oltre che professionale anche molto forte dal punto di vista emotivo .I pazienti a volte chiedono solo di poter parlare , comunicare, conforto e attenzione per i propri problemi e per noi diventa sempre più difficile trovare il tempo per svolgere questo bellissimo aspetto della nostra professione in dialisi.
Un pensiero utile, un sorriso , delle belle parole, una carezza, possono fare tanto per le persone di cui ogni giorno ci prendiamo cura . Ora abbiamo grazie a voi la certezza che questo progetto è uno strumento che ci offre la possibilità di fare ancora di più! Grazie a tutti.
Il team Infermieristico del centro dialisi di Muravera.